Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
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VIVO, VIVO...... SONO ANCORA VIVO...... !!!
E PURE IL MIO PC.......... HURRAAAAAAAAAA... !!!!
AHAHAHAHAHAHAHAH
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
Alaudae ha scritto:Marius ha scritto:capirai..tutti i sistemi sono già pronti per adottare il protocollo ipv6
qualcuno poi mi spiegherà che "bunga-bunga" sono gli indirizzi IP
Vai sui 2 compiuterini che dovresti avere in basso a DX doppioclik sopra... e si dovrebbe aprire 1 pop-up con su scritto 1 qualcoa tipo STATO DI XXXX ADSL o quello che hai ....
apri la seconda linquetta della cartelletta.... (Dettagli) li dovresti vedere 1 paio di quei famosi (o famigerati) indirizzi IP .....
Che servono a identificarti univocamente sulla rete.... insomma quando guardi i siti con le Donnie Nude... il sito lo sa che sei itaGliano, quale gestore usi... da quale zona dell'itaGlia digiti.... .... e puo darsi -MA QUI ENTRIAMO NELLA MIA PERSONALE PARANOIA- che lo sa pure lo ZIO BILL nel senso che lui sa proprio chi sei e se vuole ti viene a citofonare al campanello per darti dello ZOZZONE... !!!
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
esattamente chi sarebbe questo "zio bill"
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
Alaudae ha scritto:esattamente chi sarebbe questo "zio bill"
Ma Come; non conosci il Grande GIOVANNI CANCELLI .... (BILL GATES per gli amici !!!)
E' Grazie a lui se possiamo sparare Strunzate sul Web !!!!
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
NEMOR ha scritto:Alaudae ha scritto:esattamente chi sarebbe questo "zio bill"
Ma Come; non conosci il Grande GIOVANNI CANCELLI .... (BILL GATES per gli amici !!!)
E' Grazie a lui se possiamo sparare Strunzate sul Web !!!!
Bill Gates, certo! non c'avevo proprio pensato a quel tipo (buono anche lui..)
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Black-out di Internet in Egitto. Quando l'informazione fa paura
i ritiene che la rivolta popolare sia più contagiosa della peste poichè, a differenza di quest'ultima, può raggiungere luoghi molto lontani anche attraverso i mass media. La risonanza nella propagazione di manifestazioni violente e rivolte popolari è un fenomeno ben studiato dalla sociologia, più volte accaduto nella storia, e ben contemplato dai governatori e regnanti di ogni tempo.
E' una sorta di effetto domino che tende a travolgere società civili che vivono simili disagi e squilibri sociali.
E' quanto sta avvenendo nelle ultime ore in nord Africa a ribadire questo concetto. I violenti scontri in Tunisia, si sono propagati in Egitto, sdove abbiamo osservato nelle ultime ore al più importante black-out globale della storia di Internet. E' stato creato un triste precedente, sebbene in passato molti governi mondiali hanno operato in maniera analoga, ma certamente non in modo così impattante. Due giorni fa ben 80 provider hanno smesso di funzionare. Operare a livello router è una azione che può essere compiuta solo dai militari e dal governo.
E' stato impossibile collegarsi via Internet persino con i server protetti delle Università e centri ricerche, connessi all'Europa attraverso l'Eumedconnect 2, un network IP-based, che collega il vecchio continente con l'Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, l'Autorità Palestinese, Siria, Tunisia e Turchia.
Internet non è così imbattibile come si pensa ed il diritto e libertà d'informazione sono beni da proteggere, finchè si hanno il modo e l'opportunità per farlo.
http://www.climatrix.org/2011/01/black-out-di-internet-in-egitto.html
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In crescita la censura in Internet
1. All'inizio del 2010, il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha tenuto un discorso in cui lodava la libertà di Internet, promettendo di fare della tutela della libertà online un caposaldo del made in Usa nel mondo e gli indiretti destinatari del messaggio erano quei Paesi in cui la censura sul web è la norma, in particolare Iran e Cina, sostenendo apertamente lo sviluppo di strumenti idonei ad aggirare i filtri che ostacolano una piena indipendenza dell'informazione.
Ma l'informazione è potere, e le tecnologie del XXI secolo ne hanno incrementato le potenzialità al punto da trasformarla in arma capace di sollevare una rivoluzione. Youtube, Facebook e Twitter sono diventati le nuove armi della mobilitazione di massa; i blogger hanno preso il posto degli imbonitori di piazza, e i social network quello dei vecchi moti carbonari tra le formazioni che invocano una maggiore giustizia sociale.
Ma da una grande libertà derivano grandi responsabilità, e la garanzia di una maggiore libertà di Internet deve cominciare in casa propria. Ora che il genio è uscito dalla bottiglia, a preoccuparsi delle conseguenze che questa risorse fuori controllo può generare non sono più soltanto i regimi autoritari, bensì anche quelli liberali. A cominciare proprio dagli Stati Uniti.
2. In Medio Oriente, la censura online è la norma, secondo un livello che varia dall'oscuramento di una manciata di siti (come in Marocco, per quanto riguarda il Sahara occidentale), a delle vere e proprie proscrizioni di interi settori dell'informazione (come in Arabia Saudita, Yemen e Siria, dove è vietato l'accesso a qualunque sito di politica o di contenuto sociale).
È curioso che la stragrande maggioranza dei software che permettono di filtrare i contenuti sul web sono prodotti negli Stati Uniti e in Canada.
Secondo un rapporto di OpenNet Iniziative dello scorso mese, strumenti come Websense, SmartFilter, e Netsweeper - così come altri prodotti da Intel e Cisco, tra i preferiti dal governo cinese - rendano più agevole la censura da parte dei governi. In Yemen, ad esempio, fino a poco tempo fa si usava Websense, ora sostituito da Netsweeper, di fabbricazione canadese. In Tunisia, Ben Alì si affidava a SmartFilter, la cui indubbia efficacia aveva portato il Paese, secondo le stime dell'organizzazione Freedom House, al penultimo posto del mondo (in condominio con Cuba) per quanto riguarda la libertà in internet.
L'efficacia di tali programmi è presto spiegata: piuttosto che bloccare gli indirizzi url individualmente, essi permettono di bandire da una rete nazionale intere categorie (come la pornografia o la droga, ma anche la politica e i diritti sociali), bloccando migliaia di siti in un colpo solo, tra cui anche molti del tutto innocui (come i siti sul cinema o sullo sport). Con la conseguenza di provocare dei blocchi di massa (overblocking).
Un esempio? Lo stesso sito OpenNet Initiative era stato bloccato da Websense nello Yemen, sebbene il filtro fosse impostato per “catturare” i siti pornografici. Questo non perché il sito associazione avesse contenuti scabrosi, quanto piuttosto a causa della quantità di spam contenente link diretti a siti porno.
Ancora. Nel 2006, il popolare blog BoingBoing è stato oscurato in Qatar e Arabia Saudita, in entrambi i casi ad opera di SmartFilter. Il motivo? Il sito ospitava delle foto del David di Donatello, le quali erano state incluse nella lista di “nudo", dunque da censurare.
In pratica, questo significa che basterebbe un commento o un link un po' “spinto”, ad esempio, sul sito di un'industria di giocattoli, o la foto di una statua su quello di una galleria d'arte, per provocare la censura dei relativi url in più di un Paese.
3. È interessante esaminare il caso dell'Egitto.
Nei giorni concitati della rivolta in piazza Tahrir, il governo ha oscurato l'accesso alla rete per quasi una settimana. Nel giro di 24 ore il governo egiziano è riuscito a tagliare il 97% del traffico telematico. Come? Ordinando ai quattro principali Isp (Internet services provider) di escludere dall’accesso internazionale i propri clienti. La mossa è stata possibile perché di fatto l'accesso alla rete nel Paese è un oligopolio in mano, appunto, a quattro sole aziende. La disattivazione di tutti i provider del paese non deve essere stato un processo automatico, ma semplicemente un meccanismo manuale: ogni gestore è stato contattato dal governo e costretto ad adeguarsi. Curiosamente, solo il provider Noor Group è rimasto online con alcuni dei suoi routing, probabilmente perché è quello sui cui canali opera la borsa egiziana. L'Egitto in sostanza ha organizzato la sua rete nazionale in maniera tale che questa possa essere scollegata in breve tempo, scongiurando qualsiasi fuga di informazione all'esterno.
Ma la censura ha un suo prezzo. Cinque giorni di isolamento telematico sono costati al Paese quasi 90 miliardi di dollari. Inoltre, buona parte del traffico tra Europa e Asia passa proprio attraverso la rete egiziana, col rischio di aver causato ripercussioni non indifferenti anche per molti Isp dei Paesi vicini.
Notava Fabio Ghioni, tra i maggiori esperti mondiali in sicurezza informatica: “Il blackout totale di Internet in Egitto non ha precedenti nella storia della rete. Ma ha creato un precedente”.
Quando l'Egitto censurò Internet a fine gennaio, il vicepresidente americano Joe Biden che in ogni caso il presidente Mubarak "non era un dittatore". Salvo poi rimangiarsi la parola quando l'America decise di scaricare l'imbarazzante (ex) alleato. Ora però, proprio gli Usa potrebbero avvalersi del precedente all'ombra delle Piramidi per tentare un'azione analoga in caso di “necessità” – con tutto il carico di ambiguità che si annida in questo concetto.
4. Torniamo sul discorso della Clinton. Il Segretario di Stato Usa aveva affermato che le aziende di servizi informatici americane avrebbero dovuto fare della libertà sul web una “questione di principio”. Lo scorso 15 febbraio, il Segretario di Stato è intervenuta nuovamente sull'argomento, annunciando che il Dipartimento di Stato intende finanziare programmi per contrastare la censura, attraverso lo sviluppo di tecnologie idonee ad aggirare i filtri governativi nonché la formazione degli attivisti dei diritti umani in modo che sappiano come sottrarsi ai controlli delle autorità su telefonini e corrispondenze personali in caso di arresto.
Chiaro l'intento di eludere la rigida censura di Pechino, Mosca e Teheran.L'America sembra aver intuito da tempo le potenzialità sociali delle nuove tecnologie. Già nel luglio 2010, l 'attivista mauritano Nasser Weddady scriveva: "Al momento, mi sembra che i politici di Washington abbiano bisogno degli attivisti in Medio Oriente attivisti molto più di quanto gli attivisti attivisti abbiano bisogno dei politici". In altre parole, il web arriva laddove hanno fallito tante altre misure, non ultime le sanzioni economiche ai regimi autoritari, il cui scopo occulto è proprio quello di stremare la popolazione affinché sia spinta a rovesciare il potere dall'interno.
Ma la realtà pare evidenziare alcune contraddizioni nella posizione ufficiale americana. Vesperti hanno notato una certa incoerenza tra le parole della Clinton e le azioni del governo solo nell'ultimo anno.
A parte Websense, il quale stabilisce che l'uso del software da parte dei governi è vietato, se non per filtrare contenuti pornografici illegali (ma abbiamo visto con quali inconvenienti), nessuna delle società sopramenzionate sono volte a proibire l'uso dei propri software da parte dei governi stranieri, o per bloccare i contenuti politici. E l'amministrazione Usa non ha finora assunto alcuna iniziativa volta a limitare l'esportazione di software di filtraggio. Se l'obiettivo del programma di libertà di internet è quello di "esportare la libertà sul web", Washington dovrebbe prima preoccuparsi dobbiamo interrompere le esportazioni censura netta.
Nel luglio 2010, l 'analista Rami Khouri scriveva sul New York Times: "Nutrire sia il carceriere e il prigioniero non è una politica sostenibile per Hillary Clinton. Non sarei sorpreso se qualche giovane arabo le inviasse un tweet dicendo 'sei con noi o con lo stato di polizia?" per tutte la vicenda Wikileaks: la decisione di portali come Amazon e PayPal di non prestare più i propri servizi al sito di Assange è stata spontanea o “spontanea”? Sul capo di Assange, peraltro, pende ancora la spada di Damocle rappresentata dalla richiesta di estradizione negli Usa.
Di più. Se da un parte il governo chiude entrambi gli occhi sulle esportazioni di programmi di filtro in Paesi non liberali, dall'altra punisce tali regimi con una serie di sanzioni, per così dire, “informatiche”. Ad esempio, ai cittadini siriani non è consentito scaricare Google Earth o Chrome. Non possono partecipare al Google Summer of Code, né possono acquistare copie ufficiali dei prodotti Microsoft. Anche altre aziende non consentono esportazioni in Siria senza una speciale licenza. Anche se alcune di queste misure restrittive sono state recentemente allentate (in particolare verso l'Iran e il Sudan) la loro presenza danneggia quanti cercano nel web una opportunità di appello per incoraggiare nuove riforme sociali.
Si aggiunga, per quanto riguarda la situazione interna, che un recente tentativo di chiudere dieci siti si pornografia infantile da parte del Department of Homeland Security ha provocato l'oscuramento di oltre 84.000 siti, al pari dei casi di overblocking nei Paesi mediorientali.
5. Il fatto che Websense e SmartFilter siano di fabbricazione statunitense, così come lo è Icann, l'ente internazionale che assegna i domini sulla rete, è un particolare tutt'altro che rassicurante.
Torniamo indietro di alcuni mesi.
All'inizio di quest'anno gli Stati Uniti hanno dato avvio ad una sorta di resa dei conti con gran parte del mondo per quanto riguarda la gestione di Internet. L'America mantiene il controllo del sistema, ma parlare di governance su un bacino di utenza che sfiora il miliardo di persone è un ossimoro.
Il 25 gennaio i repubblicani hanno riproposto una norma, già discussa la scorsa estate, che conferirebbe al presidente la facoltà di isolare parte dell’infrastruttura telematica nazionale in caso di cyber-attacchi (il cosiddetto kill-switch). In pratica, che gli consenta di oscurare il web.
Tralasciando gli immensi costi in teoria e l'effettiva realizzabilità in pratica (negli Usa i provider sono migliaia, e più concorrenza c’è, più è difficile per un governo isolare i propri cittadini da internet) che un tale evento comporterebbe, è da notare che in tutto l'Occidente gli Stati Uniti sono l'unico Paese in cui una tale idea è balenata nella mente dei governanti. In Germania, Australia e Austria i rispettivi governi hanno fatto sapere che mai si avvarrebbero di poteri simili. In Estonia e in Francia l’accesso ad internet fa parte dei diritti dell’uomo. Dallo scorso anno la Finlandia garantisce per legge ad ogni cittadino l’accesso alla banda larga. Come si concilia tutto ciò con i proclami sulla libertà del web?
Allarghiamo il campo.
Lo stesso concetto di “dominio” rivela la sua natura ambivalente. Se dal punto di vista tecnico esso non è che un indirizzo, il termine è anche sinonimo di potere, controllo, autorità. Una doppiezza dimostrata dal fatto che il possesso di un dominio ha parecchie ripercussioni economiche e legali. Registrare un name piuttosto che un altro può segnare la linea di confine tra avere successo o fallire.
Il caso di Icann è emblematico delle antinomie che emergono in un sistema di interesse pubblico ma gestito da pochi, grandi enti privati. Nato nel 1998 come ente no-profit con il fine di sostenere i numerosi incarichi di gestione relativi alla rete Internet e che in precedenza erano demandati ad altri organismi (come lo IANA), fin dagli albori è stato guidato da un consiglio di amministrazione formalmente sotto contratto con il governo americano. Le norme che prevedevano un meccanismo di rappresentatività elettiva, teoricamente volte ad includere la presenza di personalità in vece di tutti i continenti, non hanno fatto che ribadire la preponderanza degli Stati Uniti (e qui in Europa della Germania). Dall'agorà universale si è passati ad una burocrazia oligarchica che ha mantenuto lo status quo nell'evidente interesse del governo americano, come dimostrato dalla richiesta (respinta) avanzata lo scorso 2 marzo dal Dipartimento del Commercio Usa di istituire il diritto di veto sui domini di primo livello "scomodi".
Usa, Cina e Russia sono coinvolte nelle maggiori questioni di politica internazionale, alle quali la gestione di Internet non è certo estranea. Perciò una società dalle funzioni così pregnanti come Icann non poteva lasciare indifferenti Pechino e Mosca, che ora premono per dire la loro sulla gestione dell'ente. I due Paesi, che insieme raggiungono quasi i 500 milioni di utenti Internet, chiedono a gran voce che la gestione della rete passi all'Organizzazione delle Nazioni Unite, o almeno sotto la sua supervisione. Cosa che ha fatto sobbalzare Washington, la quale avrebbe evidentemente da perderci.
6. La concentrazione dell'ente gestore dei domini e delle principali aziende di software (compresi quelli di filtraggio) in capo ad un solo Paese lascia seri dubbi sull'effettiva sussistenza delle garanzie di libertà pur ufficialmente auspicate. Un Paese che da un lato si vuole favorire l'aggiramento dei filtri di regime, ma dall'altro consente la diffusione di tali filtri, prende esempio dagli stessi regimi per programmare possibili interruzioni sul web, e si tiene stretto il monopolio nella gestione della rete globale.
Per l'amministrazione Obama il web è una frontiera in costante fermento. Prostrata dalla crisi economica, alle prese con due guerre dispendiose e inconcludenti, in affanno nella concorrenza con le potenze emergenti, l'America non può permettersi di allentare la presa sul controllo della rete. L'Icann decide cosa va in rete e cosa no, e se la composizione del suo direttorio dovesse essere stravolta da un'eventuale riforma che ridurrebbe il peso degli Usa aumentando quello di altri Paesi le conseguenze a lungo termine potrebbero essere notevoli. Vedersi superare anche nel mondo virtuale, in questo momento storico, significherebbe perdere buona parte della propria influenza nelle dinamiche geopolitiche del nuovo millennio.
E nessuno più dell'Icann può garantire che tale influenza rimanga inalterata.
Luca Troiano http://www.disinformazione.it/censura_internet.htm
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Hackerspace: rete satellitare contro la censura
Si chiamerà Hackerspace Global Grid (Hgg) e sarà una rete satellitare a bassa orbita completamente votata alla libera comunicazione planetaria. L’idea nasce dagli hacker che hanno partecipato alla 28sima edizione del Chaos Communication Congress di Berlino, tenutosi lo scorso 27 dicembre nella capitale tedesca.
L’idea è davvero grandiosa. Pensateci solo per un attimo e immaginate quanti sarebbero i vantaggi di avere un’Internet spaziale immune a qualsiasi tentativo di censura. Basterebbe mettere in orbita qualche satellite hacker per garantire a tutto il mondo un canale di comunicazione inattaccabile dalle pressioni governative. Ok, ora aprite gli occhi e ditemi come fareste a realizzare un progetto del genere. Di rivolgersi alla Nasa non se ne parla, quindi tanto vale rimboccarsi le maniche e rivolgersi al crowdsourcing.
Mettere insieme le competenze di migliaia di geek, hacker e scienziati sembra essere la soluzione migliore per pianificare la realizzazione del network spaziale proposto dal Chaos Communication Congress. Ecco perché vale la pena dare un’occhiata a shackspace, il portale che raccoglie tutte le informazioni necessarie a mettere in orbita i satelliti ribelli. Resta il fatto che il primo scoglio è rappresentato dall’operatività e quindi dal budget richiesto. Ovviamente non sarà possibile bussare alla porta della Nasa o altra istituzione governativa.Bisognerà affidarsi totalmente al crowdsourcing, quindi mettere in gioco competenze, specialisti e scienziati di tutto il pianeta. Shackspace è il nuovo portale che raccoglie già tutte le prime proposte e la possibilità di aderire al progetto. La piattaforma di programmazione Constellation sarà il cuore dello sviluppo, e come primo passo si è già deciso di realizzare stazioni ricetrasmittenti a basso costo (circa 100 euro) che saranno utilizzate per trasmettere/ricevere i dati satellitari. Dopodiché saranno lanciati i primi satelliti sperimentali.
fonte: googleplusblog.it
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
Sarebbe bello se fosse vero... Però qualcosa mi dice che non tutto potrebbe andare come previsto e ci siano delle "complicazioni"...
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
Christian ha scritto:Sarebbe bello se fosse vero... Però qualcosa mi dice che non tutto potrebbe andare come previsto e ci siano delle "complicazioni"...
visti i precedenti, come darti torto!
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bavaglio web senza giudice
L'autore dell'emendamento, il leghista Giovanni Fava
E’ peggio del Sopa americano l’emendamento del deputato leghista che di fatto mette un bel bavaglio all’informazione via web. Sì, perché la proposta di legge dei repubblicani Usa dispone che debba essere almeno un giudice, anche se di una sede periferica, a disporre la chiusura di un sito che abbia violato copyright. In Italia, se la Camera approvasse il codicillo, basterebbe la denuncia di un “soggetto interessato” per imporre agli intermediari (motori di ricerca, hosting provider) la rimozione dei contenuti ritenuti illeciti.
Forse, dal leghista Fava al governo che con il ministro delle Politiche comunitarie ha avallato il documento, non si rendono conto delle dimensioni del fenomeno internet. Prima dei principi, discutibili, rivedibili, negoziabili, c’è un problema di applicabilità. Di fronte alla messe prevedibile di segnalazioni che rischiano di farli chiudere per un commento sgradito, come reagiranno i giganti del web, i vari Google, Wikipedia, Facebook, o i siti di streaming? Censureranno preventivamente i contenuti a rischio, limiteranno gli accessi, metteranno un filtro? Sia per gli operatori profit che no-profit dovranno sostenere costi che scaricheranno sugli utenti?
Senza contare che la disposizione contrasta palesemente con la normativa vigente comunitaria: ”Il diritto dell’Unione vieta un’ingiunzione di un giudice nazionale diretta ad imporre ad un fornitore di accesso ad Internet di predisporre un sistema di filtraggio per prevenire gli scaricamenti illegali di file” dice la legge. Al provider viene assicurata una posizione di neutralità rispetto ad eventuali dispute o contenziosi. Quello del censore non è il proprio mestiere, nemmeno un giudice glielo può cucire addosso, figuriamoci un comune cittadino. La Corte di Bruxelles, muovendo da una sentenza a favore di un sito francese, Scarlet che ospitava servizi utilizzati da alcuni utenti per scaricare con il sistema peer-to-peer, dichiarò che l’ingiunzione in oggetto (obbligare Scarlet a vigilare sui contenuti) avrebbe obbligato la Scarlet a procedere ad una sorveglianza attiva su tutti i dati di ciascuno dei suoi clienti per prevenire qualsiasi futura violazione di diritti di proprietà intellettuale. L’ingiunzione imporrebbe dunque une sorveglianza generalizzata, incompatibile con la direttiva sul commercio elettronico. Inoltre, siffatta ingiunzione non rispetterebbe neppure i diritti fondamentali applicabili.
Sebbene la tutela del diritto di proprietà intellettuale sia sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non può desumersi né da tale Carta né dalla giurisprudenza della Corte che tale diritto sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto.
Intanto il fronte dei contrari si sta organizzando, dopo il blitz leghista in Commissione: senza l’eco delle proteste in America in seguito all’arresto del capo di Megaupload e le ritorsioni digitali degli hacker, il provvedimento probabilmente sarebbe passato in sordina. Questa mattina (24 gennaio) si terrà alla Camera dei deputati una conferenza stampa contro quello che viene soprannominato “il bavaglio al web”: Articolo 21, Libertiamo, Il Futurista e Agorà Digitale presenteranno le iniziative per bloccare il provvedimento. “Mentre Oltreoceano i deputati e senatori americani hanno fatto marcia indietro su due proposte “ammazza Internet” spacciate per norme che regolamentano il diritto d’autore.
Dicono Stefano Corradino, direttore di Articolo21 e Filippo Rossi direttore del Futurista. “Non è previsto nessun ricorso all’Autorità giudiziaria – aggiungono – chi se ne frega, nessuna possibilità di verificare l’effettiva illiceità di un contenuto. Ecco perché il Fava è peggiore del Sopa americano, che almeno prevede l’intervento di un’autorità competente”. Altolà anche da Vincenzo Vita (Pd) e Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, che parlano di “un colpo ferale alla libertà della rete anche in Italia”.
Contrari anche i deputati di Futuro e libertà Flavia Perina e Benedetto Della Vedova: “Se qualcuno pensa che, per contrastare la pirateria e gli atti illeciti compiuti in Rete, si debba ridurre la libertà di espressione degli utenti, non ha capito molto di Internet, né di pirateria”. Per il pd Alberto Losacco: “Bisogna bloccare a tutti costi il Sopa italiano” e si dicono dello stesso parere i colleghi democratici Silvia Velo e Sandro Gozi . Antonio Di Pietro avverte sul suo profilo Facebook: “Ancora una volta vogliono censurarci. L’emendamento leghista è un atto liberticida che va contro l’articolo 21 della Costituzione”. Per il segretario dei Radicali Italiani Mario Staderini e per Luca Nicotra di Agorà Digitale “l’approvazione dell’emendamento consentirà a multinazionali e monopolisti dell’informazione e dei contenuti italiani di mettere in piedi vere e proprie polizie del web. Una Sopa italiana che avrà l’effetto di incentivare la rimozione selvaggia dei contenuti di siti profit o no-profit”.
Controemendamenti abrogativi sono stati presentati da Fli, Pd, Italia dei Valori e Radicali. Il voto dovrebbe avvenire in settimana.
24 gennaio 2012 | 09:42
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MEGAUPLOAD: QUALI I VERI MOTIVI DELLA CHIUSURA?
riporto alcue parti dell'articolo pubblicato sul sito NEXUS
Il 19 gennaio 2012, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d'America ha provveduto asequestrare il sito Megaupload. Come si riporta nel sito stesso del Dipartimentoì, il motivo ufficiale del sequestro è la violazione dei diritti d’autore (copyright) e pirateria. E’ questo il vero motivo della chiusura di Megaupload o c’è qualcosa sotto?
Il sito era in linea dal 25 marzo del 2005, praticamente da ben 7 anni. Come mai viene chiuso adesso, dopo sette lunghi anni? La giustizia statunitense non sembra lenta quando
deve intervenire a proteggere la proprietà, compresa quella intellettuale. Tutti sapevano cosa fosse megaupload, per cui sette anni appaiono veramente tanti per un intervento da parte della giustizia. Quindi, una domanda sorge spontanea: “Il sito è stato chiuso veramente perchè violava i diritti d’autore o c’è qualcosa sotto?”
dicembre del 2011, solamente un mese prima del sequestro, Megaupload aveva annunciato un nuovo servizio denominato Megabox (leggasi sul tema l’articolo diDigital Music News). Questo servizio è apparso subito come qualcosa di veramente rivoluzionario per il mondo della musica, che avrebbe potuto dare esclusivo potere agli artisti, liberandoli dalla schiavità delle case discografiche. Fino ad oggi, un artista, un cantante, praticamente per poter regisitrare e distribuire un disco deve passare attraverso l’intermediazione delle case discografiche, la cui attività consiste appunto nel distribuire opere di terzi, degli artisti, ai quali vanno delle percentuali sugli introiti, percentuali decisamente basse; ovviamente un
artista che vende milioni di copie guadagna bene, però le case discofrafiche guadagnano enormemente di più. Ricordiamo che quattro grandi case discografiche (Universal Music Group, Sony BMG Music Entertainment, EMI Group e Warner Music Group, conosciuta come WEA) controllano praticamente i tre quarti del mecrato discografico mondiale.
In sostanza il servizio che si accingeva ad offrire Megaupload liberava gli artisti dalla schiavitù delle case discografiche, ovvero gli artisti diventavano unici proprietari della loro opera intellettuale; un artista invece di legarsi ad una casa discografica e guadagnare percentuali irrisorie, pubblicando per Megaupload, in maniera del tutto legale, contratto compreso, avrebbe ottenuto un guadagno del 90% per ogni canzone scaricata. Molti artisti di fama internazionale, per i loro nuovi dischi stavano pensando a Megaupload: Alicia Keys, Snoop Dogg, Will.i.am, Kanye West avevano dichiarato il proprio appoggio a Megaupload. L’operazione Megabox, sarebbe avvenuta in modo del tutto legale, senza alcuna violazione del diritto d’autore. E’ facile ipotizzare che ciò avrebbe mandato in fallimento le grandi casediscografiche, perchè a qualsiasi artista sarebbe convenuto firmare un contratto con Megaupload, piuttusto che con la vecchia casa discografica.
Il 19 gennaio 2012, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d'America ha provveduto asequestrare il sito Megaupload. Come si riporta nel sito stesso del Dipartimentoì, il motivo ufficiale del sequestro è la violazione dei diritti d’autore (copyright) e pirateria. E’ questo il vero motivo della chiusura di Megaupload o c’è qualcosa sotto?
Il sito era in linea dal 25 marzo del 2005, praticamente da ben 7 anni. Come mai viene chiuso adesso, dopo sette lunghi anni? La giustizia statunitense non sembra lenta quando
deve intervenire a proteggere la proprietà, compresa quella intellettuale. Tutti sapevano cosa fosse megaupload, per cui sette anni appaiono veramente tanti per un intervento da parte della giustizia. Quindi, una domanda sorge spontanea: “Il sito è stato chiuso veramente perchè violava i diritti d’autore o c’è qualcosa sotto?”
dicembre del 2011, solamente un mese prima del sequestro, Megaupload aveva annunciato un nuovo servizio denominato Megabox (leggasi sul tema l’articolo diDigital Music News). Questo servizio è apparso subito come qualcosa di veramente rivoluzionario per il mondo della musica, che avrebbe potuto dare esclusivo potere agli artisti, liberandoli dalla schiavità delle case discografiche. Fino ad oggi, un artista, un cantante, praticamente per poter regisitrare e distribuire un disco deve passare attraverso l’intermediazione delle case discografiche, la cui attività consiste appunto nel distribuire opere di terzi, degli artisti, ai quali vanno delle percentuali sugli introiti, percentuali decisamente basse; ovviamente un
artista che vende milioni di copie guadagna bene, però le case discofrafiche guadagnano enormemente di più. Ricordiamo che quattro grandi case discografiche (Universal Music Group, Sony BMG Music Entertainment, EMI Group e Warner Music Group, conosciuta come WEA) controllano praticamente i tre quarti del mecrato discografico mondiale.
In sostanza il servizio che si accingeva ad offrire Megaupload liberava gli artisti dalla schiavitù delle case discografiche, ovvero gli artisti diventavano unici proprietari della loro opera intellettuale; un artista invece di legarsi ad una casa discografica e guadagnare percentuali irrisorie, pubblicando per Megaupload, in maniera del tutto legale, contratto compreso, avrebbe ottenuto un guadagno del 90% per ogni canzone scaricata. Molti artisti di fama internazionale, per i loro nuovi dischi stavano pensando a Megaupload: Alicia Keys, Snoop Dogg, Will.i.am, Kanye West avevano dichiarato il proprio appoggio a Megaupload. L’operazione Megabox, sarebbe avvenuta in modo del tutto legale, senza alcuna violazione del diritto d’autore. E’ facile ipotizzare che ciò avrebbe mandato in fallimento le grandi casediscografiche, perchè a qualsiasi artista sarebbe convenuto firmare un contratto con Megaupload, piuttusto che con la vecchia casa discografica.
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
Alla fine è tutto un sistema monetario...Sempre li si va a finire
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
uniti qui i due argomenti
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
pure filesonic si è ritirata
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
sembra funzioni ancora
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USA, pronti i provider di pattuglia?
Il prossimo 12 luglio potrebbe avere inizio il chiacchierato meccanismo graduale degli allarmi del copyright. I principali ISP a stelle e strisce sarebbero quasi pronti ad avviare la Dottrina Sarkozy in salsa yankee
Roma - Comcast, Verizon, Time Warner Cable. I grandi provider d'America pronti a trasformarsi in temibili poliziotti della Rete. Ufficiali di pattuglia per conto dei signori del diritto d'autore, in quella che è già stata descritta come la più violenta offensiva dell'antipirateria a stelle e strisce.
A svelare gli ultimi retroscena è stato il CEO della Recording Industry Association of America (RIAA) Cary Sherman, recentemente intervenuto nel corso dell'ultimo convegno annuale degli editori statunitensi. I principali ISP del paese sarebbero ormai pronti a cucinare in salsa yankee la ricetta già assaggiata in Francia.
Un meccanismo graduale di protezione del diritto d'autore, che passi per un pugno di Copyright Alerts, avvisi di violazione del copyright. In sostanza, il patto di ferro tra RIAA/MPAA e i provider andrebbe a colpire tutti quei netizen colti in flagrante con le mani nel sacco della condivisione illecita delle opere audiovisive.
Dagli iniziali messaggi educativi - suggerimento di piattaforme legali, ammonimenti del tipo non lo fare mai più - si passerebbe a misure più decise nei confronti degli utenti recidivi. I provider hanno accettato di identificare gli scariconi abbonati per poi arrivare alle maniere forti: soffocamento della banda, sospensione dell'account, disconnessione dal web.
E lo stesso Sherman ha già ipotizzato una data in cui la Dottrina Sarkozy all'americana potrebbe diventare realtà. Dal prossimo 12 luglio, gli utenti statunitensi potrebbero ritrovarsi con allarmanti messaggi nella propria casella di posta elettronica. Il primo dei cosiddetti allarmi del copyright.
"Ciascun provider deve ancora sviluppare al meglio l'infrastruttura per un servizio che risulti davvero automatico - ha spiegato Sherman - Hanno bisogno di istituire un database per tenere traccia degli utenti recidivi, in modo da capire se sono alla prima o alla terza violazione". Secondo il CEO di RIAA, alcuni ISP sarebbero ormai vicini a completare il sistema.
Fonte: Punto Informatico *
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
Chissà se alla fine potremo ancora accedere anche soltanto ad internet... Se continuano così manco il comp ce fanno tene XD
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FBI, internet rischia il black-out a causa di un virus. Nuovo False Flag?
Nel corso della prossima estate oramai alle porte potrebbero verificarsi non pochi problemi per quell’enorme quantitativo di utenti che è solito navigare online poiché l’intera rete potrebbe essere oscurata da un virus in grado di bloccare l’accesso ad internet o, almeno, questo è quanto pronosticato dall’FBI.
Si tratta infatti dell’ultimo allarme lanciato dal Federal Bureau of Investigation che, dopo aver eseguito un’accurata indagine relativamente ad una truffa informatica, avrebbe poi individuato un particolare virus diffuso mediante lo spam che, a quanto pare, potrebbe già aver intaccato diverse migliaia di computer.
Tale virus, sempre stando a quanto reso noto dall’FBI, sarebbe stato programmato per entrare in azione a partire dal 9 luglio dell’anno corrente con lo scopo, appunto, di impedire ai computer infetti di connettersi ad internet.
Nel dettaglio, l’FBI, dopo aver effettuato numerosi arresti di cybercriminali che avevano messo in piedi un sistema di truffa basato su falsa pubblicità, ha notato che su diversi dei computer delle persone truffate non era più possibile accedere ad internet.
Al momento, comunque, non è stato ancora fornito alcun dettaglio relativamente a quello che è l’effettivo numero di postazioni multimediali a rischio ma i vertici dell’FBI hanno consigliato, a scopo preventivo, di accertarsi della presenza o meno del malware collegandosi al sito web DCWG e seguendo i semplici passaggi indicati in modo tale da poter scoprire se il proprio computer è stati infettato e, sopratutto, come difendersi.
In ogni caso sulla maggior parte dei computer infetti potrebbero essere stati disabilitati i software antivirus in uso e potrebbero anche essere stati riscontrati rallentamenti durante le sessioni di navigazione online.
Fonte:http://www.stampalibera.com/?p=44140
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I telefoni cellulari incorporano un chip che distrugge il dna
Chip mortale incorporato nei telefoni cellulari può distruggere il DNA
Secondo il dottor Boian Alexandrov che lavora presso il centro studi del National Laboratory di Los Alamos nel New Mexico, onde terahertz o terahertz (THz) distruggono il DNA umano.
Le onde rompono letteralmente il filo dell’elica del DNA Umano. Ora un team di tecnici presso la University of Texas di Dallas hanno in programma di adottare i chip che emettono THz-wave e incorporarlo nei telefoni cellulari per l’uso quotidiano, come un sistema di imaging per i consumatori, per la polizia e il personale medico.
Questa tecnologia in futuro potrebbe uccidere o far ammalare milioni di persone. La controversa tecnologia di scansione THz usata dal TSA in molti aeroporti degli Stati Uniti sta per essere adottata per l’uso dei telefoni cellulari. Studi sulle radiazioni terahertz hanno causato allarmismo tra gli esperti e sollevare allarme circa i rischi significativi per la salute negli esseri umani.
Recentemente grandi holding dei mezzi di comunicazione, hanno promosso un nuovo chip che permette l’adattamento di un dispositivo di nuova generazione di onde THz da integrare sui telefoni cellulari.
La squadra di fisici del National Laboratory di Los Alamos, ha trovato la prova spaventosa che l’esposizione alla radiazione THz è cumulativa e colpisce il tessuto del DNA umano e animale.
I rapporti scientifici da Los Alamos, dichiarano che le dinamiche di respirazione del DNA in presenza di un campo terahertz rivela una situazione molto preoccupante – anche la prova scioccante che la radiazione THz significativamente può danneggiare il DNA delle persone che vengono esposte direttamente, come ad esempio tutte quelle che vengono sottoposte attraverso gli scanner aeroportuali e tutti i lavoratori e operatori che si trovano accanto alle macchine.
Importanti raccomandazioni (pdf):
Le 10 regole per usare bene il cellulare
Precauzioni telefoniche a cura del comune di Bologna
Fonte originale: technologyreview.com / Fonte: segnidalcielo.it
fonte link e sondaggio
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Lunedì 9 luglio ci sarà l'apocalisse del Web?
Negli Usa è stato già battezzato l’ Internet doomsday, e il prossimo lunedì potrebbe davvero rivelarsi il giorno dell'apoalisse per i computer infettati dal malware DnsChanger, in giro dal 2007. Il 9 luglio infatti l’ Fbi spegnerà i server messi in piedi per reindirizzare il traffico Internet degli utenti colpiti dal malware, così che chi non avesse risolto ancora il problema lunedì potrebbe rimanere fuori dalla Rete. A meno che non provveda a risolvere il problema nel weekend, ecco come.
Quella del DnsChanger è una storia vecchia e apparentemente conclusa. Lanciato nel 2007 il malware colpisce il traffico Internet attraverso i Dns, il servizio che converte i nomi dei siti web in indirizzi IP e viceversa (una sorta di rubrica telefonica per semplificare la navigazione). DnsChanger però, come suggerisce il nome, interferisce con il sistema Dns, dirottando il traffico Internet verso siti illegali e appositamente manipolati per truffare gli utenti, compromettendo il sistema di sicurezza del computer stesso.
Sgominata la banda alla base della frode a fine 2011 - sei estoni e un russo - l’Fbi aveva provveduto a tamponare il problema sostituendo i server controllati. Ovvero, per far sì che gli ignari utenti colpiti dal malware potessero continuare a navigare senza problemi dopo il sequestro dei server truccati ha reindirizzato il loro traffico Internet su alcuni server puliti . Tutto grazie a un contratto con l’ Internet Systems Consortium, come spiega Wired.com, per un periodo di tempo prestabilito in cui dar modo agli utenti di risolvere il problema .
Dopo una prima scadenza del contratto per lo scorso 8 marzo, lo spegnimento dei server è stato rimandato, fino al prossimo 9 luglio appunto. Data a rischio di blackout per i computer ancora infettati e che usano i server sostituiti dall’Fbi, che secondo Afp all’inizio di giugno erano ancora più di trecentomila, la maggior parte negli Stati Uniti, ma con tutta probabilità diffusi anche in Italia, Germania, India, Gran Bretagna, Canada, Francia e Australia. Così che i relativi utenti corrono il rischio di rimanere fuori dalla Rete il prossimo lunedì.
Il modo di difendersi c’è, come spiega Cnet. In primo luogo bisogna verificare la presenza o meno del malware. Basta andare sul sito DNSChanger Working Group, cliccare sul paese di corrispondenza e attendere il checkup del computer. Se tutto ok, poco male, lunedì siete al sicuro. In caso contrario lo stesso sito mette a disposizione una serie di strumenti per risolvere il problema: backup di tutto prima e poi scansione antivirus, magari multipla. Così da scongiurare, in extremis, un lunedì nero.
http://daily.wired.it/news/internet/2012/07/06/dnschanger-rete-in-pericolo.html
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
Vudkos ha scritto:Risoluzione DNS
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lo stesso per me
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Re: Internet: siamo 2 miliardi di utenti collegati
aspettiamo lunedì
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