quando i tropici erano al polo
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quando i tropici erano al polo
Quando i Tropici erano al Polo
mercoledì, novembre 11, 2009
Ieri, oggi, domani. Il riscaldamento globale è uno dei problemi impellenti per governi e scienziati, ma, studiando la storia del pianeta, si scopre che qualcosa di analogo – e di peggiore – è già successo in altre ere geologiche: per esempio tra 65 e 35 milioni di anni fa, dopo l’estinzione dei dinosauri, all’inizio del trionfo dei mammiferi e appena prima che nell’Antartide iniziassero a formarsi le regioni ghiacciate.
Questo intervallo di tempo, lungo 30 milioni di anni, è stato denominato «Greenhouse world» e fu segnato da un’elevata presenza di gas serra e da un clima molto più bollente dell’attuale. Adesso un team di studiosi dell’università di Utrecht, del Royal Netherlands Institute for Sea Research e dell’Università della California ha scoperto un fatto sorprendente: le temperature dei mari che bagnavano il circolo polare antartico superavano i 30 gradi e che le differenze rispetto alle acque della fascia equatoriale erano minime.
Questi dati derivano dall’analisi di alcuni sedimenti recuperati dal fondo dell’Oceano Indiano, vicino alla costa orientale della Tasmania, un’area che durante il primo Paleogene era vicina all’Antartico. Lo studio, pubblicato su «Nature», è un significativo passo avanti: fino a oggi, infatti, le temperature dei mari che in un tempo remoto toccavano il Polo Sud erano un mistero. «Sì, è vero – spiega il paleoclimatologo Peter Bijl, coordinatore della ricerca -: abbiamo dato il nostro contributo alla storia. Tuttavia non siamo ancora in grado di spiegare il perché. Alcuni meccanismi climatici di retroazione, probabile causa del fenomeno, oggi non sono più attivi e di conseguenza non siamo in grado di identificarli. Sappiamo però, che a quell’epoca l’Antartide era una regione umida e calda, con una costa ricoperta da foreste verdi e temperate, e bagnata da acque tropicali: probabilmente un magnifico posto in cui vivere».
L’apparizione di questo Eden fu dovuta proprio a un incremento dell’effetto serra, in parte causato da una maggiore attività vulcanica, che liberò nell’atmosfera grandi quantità di CO2. Avvenne in particolare tra il Paleocene (65-55 milioni di anni fa) e l’Eocene (55-33), quando la temperatura aumentò di circa 5 gradi in un tempo considerato rapidissimo, meno di 10 mila anni. E’ un periodo indicato con l’acronimo «Petm»: Paleocene-Eocene Thermal Maximum. «Scoprire le quantità di anidride carbonica all’epoca del “Greenhouse world” è difficile – spiega Bijl -. Sappiamo, però, che i livelli erano molto elevati: si stima un minimo di 1000 ppmv (parti per milione in volume), 3 volte di più di oggi, e un massimo di 3 mila, una cifra a dir poco inimmaginabile».
Elementi non trascurabili, visto che, secondo alcuni studiosi, il «Greenhouse world», e in particolare il «Petm», sono un esempio lampante di riscaldamento globale indotto dalla CO2. Di conseguenza, il periodo viene considerato l’emblema di ciò che potrebbe accadere sulla Terra nei prossimi secoli in seguito al boom dell’inquinamento. L’impatto antropico, infatti, rischia di riportare le lancette indietro, a 50 milioni di anni fa, in una sorta di eterno ritorno dell’uguale.
«Investighiamo un episodio della storia della Terra che mostra livelli di CO2 simili a quelli previsti in futuro dalle simulazioni – spiega Bijl -. Sappiamo che, poi, ci sono voluti milioni di anni perché le quantità di anidride carbonica del “Greenhouse world” si abbassassero. Così, il raffreddamento ha portato alla formazione di ampie regioni ghiacciate ai poli. Ma ora l’umanità sta rimettendo in circolo larga parte della CO2 “sedimentata” nel corso del tempo. Con l’aggravante che tutto avviene a una velocità elevata. Al momento il sistema climatico non ha ancora risposto in pieno a questa modificazione e, quindi, non siamo in grado di dire con certezza che cosa avverrà. Sappiamo solo che più CO2 emettiamo e maggiori cambiamenti climatici dovremo aspettarci».
La ricerca di Bijl, però, getta dubbi anche sull’attendibilità dei modelli predittivi dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, il foro nato sotto l’egida dell’Onu con il compito di studiare il riscaldamento globale. «I modelli usati per analizzare il futuro possono essere utilizzati anche per ricostruire il clima del passato. E’ stato fatto anche per il “Greenhouse world”. Il problema, però, è che questi modelli non hanno riscontrato le alte temperature dei mari polari che, invece, abbiamo desunto. Di conseguenza, come possiamo essere sicuri della loro attendibilità, se sono inadeguati a ricostruire ciò che è avvenuto milioni di danni fa?».
Ecco perché i cambiamenti climatici, secondo il team, potrebbero essere più gravi delle peggiori previsioni dell’Ipcc. «Quando il clima avrà completamente “reagito” al boom di CO2, i poli potrebbero essere più caldi di quanto finora ipotizzato», conclude Bijl. Con apocalittici effetti sullo scioglimento dei ghiacci e sull’innalzamento dei mari.
Chi è Peter Bijl Paleoclimatologo
RUOLO: E’ PROFESSORE DI PALEOCLIMATOLOGIA ALLA UTRECHT UNIVERSITY (OLANDA)
LO STUDIO: WWW.NATURE. COM/NATURE/JOURNAL/ V461/N7265/ABS/ NATURE08399.HTML
mercoledì, novembre 11, 2009
Ieri, oggi, domani. Il riscaldamento globale è uno dei problemi impellenti per governi e scienziati, ma, studiando la storia del pianeta, si scopre che qualcosa di analogo – e di peggiore – è già successo in altre ere geologiche: per esempio tra 65 e 35 milioni di anni fa, dopo l’estinzione dei dinosauri, all’inizio del trionfo dei mammiferi e appena prima che nell’Antartide iniziassero a formarsi le regioni ghiacciate.
Questo intervallo di tempo, lungo 30 milioni di anni, è stato denominato «Greenhouse world» e fu segnato da un’elevata presenza di gas serra e da un clima molto più bollente dell’attuale. Adesso un team di studiosi dell’università di Utrecht, del Royal Netherlands Institute for Sea Research e dell’Università della California ha scoperto un fatto sorprendente: le temperature dei mari che bagnavano il circolo polare antartico superavano i 30 gradi e che le differenze rispetto alle acque della fascia equatoriale erano minime.
Questi dati derivano dall’analisi di alcuni sedimenti recuperati dal fondo dell’Oceano Indiano, vicino alla costa orientale della Tasmania, un’area che durante il primo Paleogene era vicina all’Antartico. Lo studio, pubblicato su «Nature», è un significativo passo avanti: fino a oggi, infatti, le temperature dei mari che in un tempo remoto toccavano il Polo Sud erano un mistero. «Sì, è vero – spiega il paleoclimatologo Peter Bijl, coordinatore della ricerca -: abbiamo dato il nostro contributo alla storia. Tuttavia non siamo ancora in grado di spiegare il perché. Alcuni meccanismi climatici di retroazione, probabile causa del fenomeno, oggi non sono più attivi e di conseguenza non siamo in grado di identificarli. Sappiamo però, che a quell’epoca l’Antartide era una regione umida e calda, con una costa ricoperta da foreste verdi e temperate, e bagnata da acque tropicali: probabilmente un magnifico posto in cui vivere».
L’apparizione di questo Eden fu dovuta proprio a un incremento dell’effetto serra, in parte causato da una maggiore attività vulcanica, che liberò nell’atmosfera grandi quantità di CO2. Avvenne in particolare tra il Paleocene (65-55 milioni di anni fa) e l’Eocene (55-33), quando la temperatura aumentò di circa 5 gradi in un tempo considerato rapidissimo, meno di 10 mila anni. E’ un periodo indicato con l’acronimo «Petm»: Paleocene-Eocene Thermal Maximum. «Scoprire le quantità di anidride carbonica all’epoca del “Greenhouse world” è difficile – spiega Bijl -. Sappiamo, però, che i livelli erano molto elevati: si stima un minimo di 1000 ppmv (parti per milione in volume), 3 volte di più di oggi, e un massimo di 3 mila, una cifra a dir poco inimmaginabile».
Elementi non trascurabili, visto che, secondo alcuni studiosi, il «Greenhouse world», e in particolare il «Petm», sono un esempio lampante di riscaldamento globale indotto dalla CO2. Di conseguenza, il periodo viene considerato l’emblema di ciò che potrebbe accadere sulla Terra nei prossimi secoli in seguito al boom dell’inquinamento. L’impatto antropico, infatti, rischia di riportare le lancette indietro, a 50 milioni di anni fa, in una sorta di eterno ritorno dell’uguale.
«Investighiamo un episodio della storia della Terra che mostra livelli di CO2 simili a quelli previsti in futuro dalle simulazioni – spiega Bijl -. Sappiamo che, poi, ci sono voluti milioni di anni perché le quantità di anidride carbonica del “Greenhouse world” si abbassassero. Così, il raffreddamento ha portato alla formazione di ampie regioni ghiacciate ai poli. Ma ora l’umanità sta rimettendo in circolo larga parte della CO2 “sedimentata” nel corso del tempo. Con l’aggravante che tutto avviene a una velocità elevata. Al momento il sistema climatico non ha ancora risposto in pieno a questa modificazione e, quindi, non siamo in grado di dire con certezza che cosa avverrà. Sappiamo solo che più CO2 emettiamo e maggiori cambiamenti climatici dovremo aspettarci».
La ricerca di Bijl, però, getta dubbi anche sull’attendibilità dei modelli predittivi dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, il foro nato sotto l’egida dell’Onu con il compito di studiare il riscaldamento globale. «I modelli usati per analizzare il futuro possono essere utilizzati anche per ricostruire il clima del passato. E’ stato fatto anche per il “Greenhouse world”. Il problema, però, è che questi modelli non hanno riscontrato le alte temperature dei mari polari che, invece, abbiamo desunto. Di conseguenza, come possiamo essere sicuri della loro attendibilità, se sono inadeguati a ricostruire ciò che è avvenuto milioni di danni fa?».
Ecco perché i cambiamenti climatici, secondo il team, potrebbero essere più gravi delle peggiori previsioni dell’Ipcc. «Quando il clima avrà completamente “reagito” al boom di CO2, i poli potrebbero essere più caldi di quanto finora ipotizzato», conclude Bijl. Con apocalittici effetti sullo scioglimento dei ghiacci e sull’innalzamento dei mari.
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