Il passato sconosciuto del Deserto Di Gobi
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Il passato sconosciuto del Deserto Di Gobi
Deserto del Gobi è un territorio molto esteso, situato tra la Mongolia meridionale e la Cina settentrionale, con un’area di ben 1.295.000 chilometri quadrati; ha un’escursione termica che può arrivare a 40° di differenza tra il giorno e la notte, e mostra paesaggi desolati ma affascinanti, terreni aridi e sassosi dai colori accesi, interrotti da arbusti e da sterpaglie, poche distese sabbiose (il 3% della sua superficie), pochi animali selvatici (come l’asino Koulan) molte cavità e caverne, e qualche lago salato. Negli anni ‘20, Roy Chapman Andrews, assieme ai suoi uomini, riportò in superficie un gran numero (più di cento) di scheletri fossili di antichi rettili vissuti nel Cretaceo, 70 milioni di anni fa, dal Velociraptor al Tirrannosaurus Rex al Protoceraptor.
Negli anni 40, invece, l’archeologo russo Pyotr Kuzmich Kozlov, scavando tra le rovine della città di Khara Khota (vecchie di almeno 7000 anni), rinvenne dentro una tomba dipinta - a qualche chilometro dagli scavi - una pittura murale che fu poi risultato risalire a 18.000 anni fa, e raffigurante una coppia di sovrani il cui simbolo era costituito da un cerchio diviso in quattro settori, con al centro un segno che è quello della lettera M, il quale è stato poi ripreso dall’alfabeto romano dopo secoli e secoli. Alcuni commentatori hanno voluto vedere in questo ritrovamento la scoperta della città di Uighur, una delle colonie di Mu la quale, come James Churchward ha scritto nei suoi libri, era un impero che occupava un continente il quale si trovava dove ora ci sono gli arcipelaghi del Pacifico. Questo continente - secondo le testimonianze di Churchward, che - tra l’altro - era un colonnello di Sua Maestà Britannica - sarebbe esistito da 150.000 a 75.000 anni fa per poi scomparire prima della fine del Pleistocene, e non era altro che un pezzo del supercontinente Lemuria, inabissatosi nell’era del Permiano.
Tratti considerevoli del deserto sono cosparsi dalle cosiddette tectiti, scaglie di pochi centimetri dall’aspetto vetroso le quali, secondo lo studioso russo Mikail Agrest (che ha pubblicato diversi articoli in proposito sulla Literaturnaya gazeta) sono costituite da frammenti che si staccarono, durante la preistoria, da veicoli cosmici, per via del forte calore che accompagna la loro penetrazione nell’atmosfera terrestre. La loro composizione le differenzia nettamente dalle meteoriti; esse sono state rinvenute in regioni molto circoscritte e l’analisi chimica della loro struttura induce a credere che la loro origine non sia terrestre. Le tectiti si devono essere solidificate roteando nel vuoto prima di toccare terra. Se davvero si sono staccate da navi spaziali, i loro ammassi, visibili in alcune zone, ci dicono che si deve essere trattato di incrociatori cosmici galattici. Nel mondo, le tectiti sono state principalmente rinvenute nella zona mediorientale che corrisponde al luogo delle città bibliche di Sodoma e Gomorra, nella Valle Della Morte, al confine tra la California e il Nevada e, appunto, nel Deserto di Gobi, del quale vi sono alcuni tratti che appaiono come fatti di vetro, e non di roccia o di sabbia. Tra l’altro, nelle montagne a nord di Gobi (i monti Altai), le pareti di roccia dallo strano aspetto risultano segnate da spirali circolari simili a impronte di ventose.
In certe caverne del deserto, degli studiosi provenienti dall’URSS reperirono - negli anni ‘50 - strumenti montati, millenni fa, su veicoli interplanetari. Sono misteriosi aggeggi - in un certo senso simili al cosiddetto geode di Coso - fatti di una sostanza come ceramica e di un materiale vitreo, a forma di emisfero e che hanno la punta a forma di cono, in cui è contenuta una goccia di mercurio. Guarda caso, i vimana, descritti con dovizia di particolari nei testi indù sanscriti come il Ramayana e il Drona Parva, viaggiavano nel cosmo per effetto del mercurio, che suscitava una specie di “vento solare” propulsore attorno all’astronave.
Le leggende dell’Asia centro-orientale ci riportano spesso al Deserto di Gobi dove, in un tempo molto antico - come viene anche confermato dalla geologia - si sarebbe esteso un grande mare. Vi furono abitanti di un antichissima civiltà vissuti all’epoca in cui ci sarebbe stata un’isola in mezzo a questo mare, popolata da creature coi capelli biondi e gli occhi azzurri (in netto contrasto con le etnie di quel territorio, dunque). Proprio da queste creature - provenienti dal cielo - gli abitanti dell’impero del Pacifico attinsero molte nozioni che li avrebbero fatti arrivare al culmine della loro cultura 75.000 anni fa. Alcuni sciamani , certi sacerdoti di un culto animistico molto antico (tengrismo) che ancora vive tra le zone brulle della Mongolia meridionale, cadendo in trance al ritmo ossessivo di un tamburo, affermano di mettersi in contatto mentale con una dimensione popolata di creature da incubo, umanoidi neri e ingobbiti con mani grosse ed artigli. Essi possono togliersi la loro pelle per rivelare sembianze umane e andare tra gli uomini senza essere riconosciuti ma, vestiti della loro pelle nera vagherebbero - invisibili - nelle acque e nel cielo, a bordo di grosse conchiglie volanti, chiamando i morti.
Un’antichissima tradizione indù vuole che “uomini discesi dalla grande stella bianca” (Venere?) abbiano preso dimora nell’isola del mar di Gobi nell’anno 18.617.841. a.C. (data errata visto che è stata tratta dalle discutibili cronologie del bramanesimo), erigendo dapprima un fortilizio, poi una città, e collegando in seguito l’isola con la terraferma attraverso gallerie sottomarine. Diverse zone del territorio del deserto sono traforate da aperture che conducono a piazze sotterranee da cui si dipartono gallerie inaccessibili, ostruite da tratti crollati. Secondo certi miti tramandati da tempi immemorabili, le gallerie collegherebbero località distantissime tra loro. Sulle pareti degli spiazzi a grande profondità si trovano graffiti rappresentanti disegni indecifrabili. Altre volte le tracce sono più intelleggibili, ma sempre enigmatiche.
Alcuni decenni fa venne rinvenuta nelle caverne del distretto di Bohistan (oggi Kohistan), nella zona himalayana del futuro Pakistan, una mappa celeste (tra l’altro pubblicata in USA nel 1925 dal National Geographic). Gli astronomi notarono che, pur essendo esatta, non corrispondeva a quelle attuali, perchè su quella carta le stelle erano disposte nella posizione che occupavano 14.920 anni fa. E c’è un dettaglio singolare sulla mappa, rappresentato da linee che uniscono la Terra a Venere. Nel 1778, Jean-Sylvain Bailly, politico, matematico e astronomo francese, esaminando certe carte stellari portate dall’India da alcuni missionari, constatò che dovevano essere vecchie di molti millenni ma che, comunque, non potevano essere state realizzate in India, poichè vi erano segnate stelle non visibili dal presunto luogo di origine. I calcoli svelarono a Bailly il punto di osservazione da cui le mappe erano state disegnate: proprio la zona dove si trova oggi il Deserto di Gobi! Gli indiani avevano ereditato quelle carte da una civiltà più antica e progredita della loro, forse quella che abitava l’isola in mezzo al mare sul territorio dove ora si stende il deserto?
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